L'umanità "bambina" non sapeva distinguere fra domande scientifiche e non scientifiche, poiché la scienza è nata solo quattro secoli fa.

 

Perciò i miti tentavano di dare risposta sia a domande scientifiche che non scientifiche.

 

Noi, che viviamo in un tempo in cui esiste la ricerca scientifica, non ci rivolgiamo più ai miti per conoscere la risposta alle domande che si chiedono il COME, il DOVE, il QUANDO, ecc...

 

Ma i miti rimangono racconti validi, se ad essi ci rivolgiamo per cercare una spiegazione ad altre domande, quelle più profonde.

 

Sappiamo bene che questi racconti non hanno alcun carattere storico, ma che proiettano in un tempo indefinito realtà presenti in ogni momento della storia e per ogni uomo e donna, cercandone il PERCHE'  e il CHI le ha volute.

 

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Di seguito verranno riportati alcuni miti. A voi decidere quale vi piace di più e magari inventarne uno vostro.

 

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 MITO DI GIAVA

Ridjalu’l Ghalub impastò una figura umana dotata di vita, sentimento, volontà, forza di carattere, spirito ed anima. 
Poi procurò all’uomo una bella moglie in questo modo: scelse per lei la rotondità della luna, la flessibilità del 
serpente, il tremolìo dell’erba, la snellezza della liana, il profumo dei fiori, lo sguardo del capriolo, la giocosità 
del raggio di sole, la sveltezza del vento, le lacrime delle nubi, la delicatezza della piuma, la timidezza degli 
uccelli, la dolcezza del miele, la vanità del pavone, la leggerezza della rondine, il fascino del diamante e il 
tubare della tortora. Mescolò insieme tutte queste qualità e ne formò un essere femminile, al quale assegnò tutte queste proprietà. Quando questa creatura fu viva, superò in grazia, leggiadrìa e bellezza il suo compagno maschile.
 
MITO AZTECO
 
I quattro dei: l'Azzurro (Tlaloc), il Rosso (Xipe Totec), il Bianco (Quetzalcoat) e il Nero (Tezcatlipoca) erano riuniti e contemplavano la loro opera, pensosi. 
"Abbiamo fatto nascere il sole, le erbe, gli animali nei boschi e nelle acque ed uccelli a riempire il cielo. La nostra è un'opera grandiosa", esclamò il dio Bianco, "tuttavia nessuna delle nostre creature si rende conto di quello che abbiamo compiuto". 
"Inoltre, nessun animale o pianta ci sta ringraziando" commentò il dio Rosso, "e non vi sarà né gloria né grandezza in questo mondo che abbiamo costruito finché non avremo formato qualcuno che sappia chi siamo e possa lodarci".
"Lo farò io!" si impegnò il dio Azzurro delle piogge che ideò subito un uomo modellando una manciata di fango. Ma questa creatura si squagliò in fretta. 
Occorreva un materiale diverso.
Il dio Rosso degli alberi scolpì allora un uomo nel legno. Ma le scintille lo bruciarono e presto divenne cenere. 
"Abbiamo finora fallito. Tocca a me" disse il dio Nero dei minerali e propose uomini tutti dorati. Ma questi esseri preziosi e luccicanti si vantarono di essere così belli e si invidiarono l'un l'altro, dimenticando la loro provenienza. 
Il dio Bianco decise allora di formare un uomo umile,  fatto di farina ma impastato in modo eccellente. Questo nuovo tipo di uomo fu felice di accorgersi che aveva tutto l'indispensabile per vivere in pace e per prima cosa mostrò riconoscenza agli dèi per essere nato.
 
 
MITO AFRICANO
 
Molto tempo fa il sole e l'acqua erano grandi amici e tutti e due vivevano insieme sulla terra. Il sole andava a trovare l'acqua molto spesso, ma l'acqua non gli ricambiava mai la visita. Un giorno il sole domandò all'acqua il motivo, lei rispose che la casa del sole non era abbastanza grande, non avrebbe potuto starci con tuttti i suoi abitanti. L'acqua fece una proposta al sole: "Se vuoi che io venga a trovarti, devi ampliare la tua casa".  Lui accettò e iniziò i lavori per ristrutturare ed ingrandire la casa. Quando tutto fu pronto, il sole invitò l'acqua ed essa cominciò a fluire, felice, accompagnata da pesci, conchiglie, coralli e stelle marine. Alla fine, riversandosi, l'acqua salì di livello tanto che in breve raggiunse il tetto. Il sole per ospitarla tutta decise di trasferirsi su nel cielo e da allora è rimasto là.
 
MITO ESQUIMESE
 
Molto tempo fa non esistevano i venti, né quelli gelidi e violenti dell'inverno e neppure le gentili brezze della primavera. Una coppia anziana desiderava tanto avere un figlio e aspettava con umiltà. Il marito Igaluk, guidato dallo spirito della luna, partì tra i ghiacci in cerca di un alberello che avesse sembianze umane e lo intagliò facendo nascere un bambino di legno. 
Cresciuto, il figlio di Igaluk si inoltrò nella distesa di iceberg verso est fino al punto in cui il cielo scende a toccare la terra. E poi vagò in direzione sud, infine arrivò anche sulle coste dell'ovest e del nord. In ogni strada percorsa trovò un'apertura nel cielo da cui penetravano continui soffi d'aria. Scavò con un coltellino all'interno dei fori per ingradire i quattro bordi e da ognuno discese qualcosa: dal primo una brezza, dal secondo una raffica, dal terzo un'ondata freddissima e dal quarto un tepore. 
Ad ognuno dei soffi il ragazzo diede consigli su come comportarsi: la brezza avrebbe dovuto scorrere leggera, la raffica doveva scrosciare su e giù dalle nubi, l'ondata freddissima avrebbe dovuto trascinare il ghiaccio con sè e il tepore avrebbe dovuto volare basso. In questo modo dopo quegli incontri, ogni vento seguendo le istruzioni seppe come soffiare. 
 
 
MITO ITTITA
 
Il dio della tempesta e il drago degli abissi erano nemici e vennero alle mani. Il drago riuscì dopo la lotta a strappare gli occhi e il cuore al suo rivale. Per molto tempo il dio della tempesta dovette curare le sue ferite e aspettò l’occasione propizia per recuperare gli organi perduti. Scese sulla terra e sposò la figlia di un contadino. Nacque un figlio che, da grande, si innamorò della figlia del drago.  Il dio della tempesta istruì il giovane che stava per sposarsi: come regalo avrebbe dovuto chiedere al drago il cuore e gli occhi del dio della tempesta. Fu così che il giovane si presentò al drago per chiedere in moglie la figlia e domandò il dono di nozze concordato col padre. In questo modo si celebrò il matrimonio e furono restituiti al dio il proprio cuore e gli occhi.
 
 
MITO LAKOTA
 
Sono un indiano. Penso a cose semplici, come questa pentola.
L'acqua che bolle proviene dalle nubi di pioggia, il fuoco sotto proviene dai raggi caldi del sole, la carne proviene dalle creature a quattro zampe, i nostri fratelli animali, che hanno offerto il loro corpo per permetterci di vivere.
Il vapore è il respiro che vive: era acqua, ora risale verso le nubi.
Queste cose sono sacre.
Osservando questa pentola piena di zuppa, penso a come, così semplicemente, il Grande Spirito si prende cura di me (e di tutta la tribù).